Ras El Hanout
Ci spostiamo in Nord Africa per esplorare un mix che forse non sapevate di aver già assaggiato. In Marocco e nei paesi limitrofi il Ras El Hanout viene usato a pioggia su cous cous e tajine. Il nome si può tradurre con “top di gamma”, e non si dica che i marocchini a tavola non si trattino bene.
Il Ras El Hanout è caratterizzato da una parte minima di curcuma (difatti il colore vira verso il verde) compensato da cumino, coriandolo, allspice. Poco piccante (c’è solo pepe nero), va d’accordo con i piatti unici di cereali. Dal tipico cous cous a miglio, grano saraceno, riso, sorgo.
Thailandese
Tradizionalmente in pasta, il curry thailandese si trova facilmente anche in polvere. Prendetelo come un semaforo: si distingue immediatamente per i suoi tre colori. Ecco quali sono le caratteristiche principali di ognuno:
- Curry verde: il più diffuso e, contrariamente alla canonica associazione cromatica, il più piccante. Si distingue per la polvere di peperoncino verde, oltre a galanga, cipolla, lemongrass. Eccellente con pollame, noodles di riso, zuppe e stufati di pesce.
- Curry giallo: versione thai del curry indiano, meno piccante e assai più dolce. Si distingue per la presenza di curcuma, pepe bianco, kaffir lime, senape. Da utilizzare per piatti delicati, specialmente vegetariani.
- Curry rosso: il più versatile, moderatamente pungente e aromatico. Caratterizzato dalla paprika, contiene anche basilico, lemongrass e kaffir lime. Nella cucina thai viene usato soprattutto per anatra, gamberi, pollo saltato.
Indonesiano
Detto kare/kari, questo blend unico si distingue per il profumo intenso. Contiene infatti cannella indonesiana, galanga, semi di finocchio, foglia curry essiccata. Viene usato per piatti in stile Malay, diffusi nell’area insulare del Sud Est asiatico. Qui la cucina è caratterizzata dall’uso di erbe e spezie, latte di cocco, pasta e salsa di pesce.
Anche il curry ha un ruolo importante, a partire dalla specialità nazionale nasi goreng, preparato con riso fritto con pollo e/o gamberetti, uova e verdure saltate. Altri piatti tipici sono rendang, curry asciutto di manzo e opor ayarn o pollo al cocco.
Giapponese
Introdotto dagli inglesi nel corso dell’Ottocento, il curry giapponese ha un carattere tutto suo. Intanto bisogna sapere che il karē è uno dei piatti tipici più amati e popolari del Giappone, alla faccia nostra che pensiamo ancora che il primato spetti al sushi. Viene utilizzato in zuppe, stir fry e ramen.
Rispetto all’originale indiano, il curry giapponese è più denso e pastoso, e decisamente meno piccante. Il mix è impreziosito da finocchio e anice stellato. Da provare in abbinamento con pollo e maiale, magari in versione tonkatsu o cotoletta (vale anche la versione vegetariana con cavolfiore o sedano rapa).
Jamaicano
Un curry nei Caraibi? Ebbene sì, dal 1830 quando arrivò insieme a un’ondata migratoria indiana. Da quel momento il mix poco piccante si alterna al più vivace jerky, dry rub per carne a base di paprika e tabasco. Il blend jamaicano infatti è speziato soltanto dal pepe di Cayenna, e include anche polvere di senape, anice, fieno greco, allspice.
Ma non è l’unico. Altre due tipologie di curry naturalizzate sono West Indian dal sapore dolce e vellutato; e Trinidad curry con pepe nero, curcuma, allspice e cardamomo. In queste isole il mix equivale al nostro prezzemolo: lo trovate dappertutto, frutta compresa.
Questa tipologia richiama inevitabilmente piatti di pesce: stufati, zuppe, grigliate. Ottimo anche con agnello, spiedini di carne, verdure al vapore.
Malese
In Malesia il curry punta più sull’aromatico e sul dolce rispetto al piccante, grazie all’aggiunta di finocchio, senape, cumino, fieno greco. È un eccellente dry rub su carne grigliata, specie agnello, tacchino, manzo. In alternativa provatelo con le uova, ad esempio per rendere ancora più “diaboliche” le deviled eggs, su tofu e stir fry di verdure.
Vietnamita
Il càri vietnamita è denso e aromatico, un velluto morbido che accarezza il palato senza troppi effetti collaterali. Il mix infatti è molto meno piccante della controparte indiana, caratterizzato da zenzero, finocchio, lemongrass, anice stellato. Dà il meglio di sé con il latte di cocco, ma anche tofu, noodles, marinature per carne e pesce.
Sri Lanka
Il curry cingalese ha due anime: una fieramente spicy tipica di Jaffna, l’altra mild detta Badapu Thunapaha. Entrambe sono caratterizzate da un’aromaticità intensa, resa unica dalla tostatura delle spezie fra cui foglie di curry e pandan.
Il curry Jaffna, con il suo peperoncino a pioggia, si sposa a piatti di carne dal sapore deciso, come capra, asino, pollo arrosto e pesce. Il secondo, la cui pungenza limitata è data unicamente dal pepe nero, accompagna carne bianca, zuppe e stir fry di verdure. Cimentatevi, dalla pasta pancetta e curry agli straccetti di pollo su letto di riso.
Singapore
In tutta l’Asia non esiste crocevia più intricato di Singapore. La città-stato ingloba cultura cinese, malese, indiana, thailandese e indonesiana, a partire dalla cucina naturalmente. Il curry, qui in versione extra-piccante, include anche polvere di riso e finocchio. Eccellente con pesce e crostacei, dà il meglio di sé con gamberi scottati e tagliata di tonno. Da usare anche per carni bianche, piatti di noodles e riso al salto.
Zanzibar
Chiudiamo con Zanzibar, isola africana che è molto più di una destinazione di nozze. Nel Seicento il territorio faceva parte del Sultanato dell’Oman, che a sua volta era caratterizzato da una forte influenza indiana in cucina. Il curry dell’isola ne mantiene la ricchezza aromatica, ma di piccantezza ce n’è assai meno. Contiene paprika dolce e peperoncino, zucchero di canna e tanta cannella. Un blend dolce e gentile da usare in riso, salsa, verdure, insalata di pesce.